Il Funambolo non ha mai fatto politica. Non fa e non farà mai politica. Il nostro lavoro è un altro. Un lavoro però inevitabilmente politico, in quanto sociale e in quanto teso a “dare”. La nostra posizione è democratica e il più liberal possibile.
I fatti di Tor Sapienza sono difficili da commentare. Hanno perso tutti. I cittadini del quartiere. Gli operatori del centro. I politici della città e nazionali. Noi che stiamo a guardare. Ma sopratutto i ragazzi. Non ce la sentiamo di scrivere chissà cosa sui fatti di Tor Sapienza. Facciamo questo mestiere da anni e siamo solo amareggiati e molto preoccupati.
Vogliamo però condividere una riflessione, che facevamo tra noi in queste ore, in questi giorni.
La violenza nelle periferie è qualcosa che ben conosciamo. Ci lavoriamo nelle periferie, in quelle aree di negazione collettiva, costruite apparentemente con lo scopo di mettere fuori dal tessuto civile quel malessere. Il concetto è quello del ghetto se vogliamo. Lo steso del lazzaretto o di quegli spazi di controllo sociale e di esclusione di cui è piena la storia della malattia mentale e della delinquenza.
In tal senso giorni fa scrivevamo che le case famiglia hanno la loro nobile origine nella legge Basaglia e in quel movimento culturale.
E veniamo al dunque. Non si può accogliere e basta. Non vuol dire nulla. Si accoglie con un criterio. Perché si cura. E si cura in comunità che hanno una certa metodologia. Quella del piccolo gruppo. Anche il territorio va coinvolto chiaramente.
I ragazzi ospiti nel centro sono una quarantina. Nelle comunità per adolescenti ce ne sono massimo otto. Per legge. Sono ragazzi sofferenti che hanno vissuto traumi indicibili.
Ormai a Tor Sapienza si possono solo limitare i danni. Ma ci chiediamo quali siano le responsabilità del Comune nell’autorizzare centri di esclusione di questo tipo. Così facendo non può che crescere il disagio e la violenza. Ai danni dell’inclusione e di un’accoglienza realmente sapiente.
In questa vicenda tutti vanno compresi profondamente. Gli operatori, i cittadini e i ragazzi con la speranza che una convivenza sia possibile. Ma su altre più solide basi.
Speriamo di non aver offeso nessuno, ma non potevamo esimerci dall’indicare un modello sperimentato di lavoro con piccoli gruppi sul territorio, in accordo con sindaci, forze dell’ordine e cittadini.
Un pensiero anche per questo sindaco che forse nella vicenda troverà il coraggio per comprendere che Roma è anche e soprattutto alla sua periferia.