Oggi a pranzo, se stavi guardando la televisione e dopo il telegiornale della sette stavi continuando a seguire le notizie di cronaca, avrai sicuramente ascoltato un servizio sulle case famiglia.
La giornalista si è preoccupata di “approfondire” la condizione di quei minori che per vari motivi si trovano ad avere una famiglia disfunzionale alla loro crescita. Ha quindi riportato le cifre di quanti bambini e adolescenti sono ospiti degli “istituti”. Ha utilizzato questo termine, forse non sapendo che la legge 149 ne decreta la chiusura dal 31 dicembre 2006. Ha intervistato così la Presidente del Tribunale per i minorenni di Roma, Melita Cavallo.
Avrai sicuramente pensato di ascoltare un autorevole intervento riguardo alla condizione di questi ragazzi e ai dispositivi che lo stato mette in atto e autorizza nel trattamento delle loro sofferenze.
La presidente, insolitamente, non ha sottolineato il costo delle case famiglia, ma ha voluto sponsorizzare il ruolo che invece può avere l’affidamento famigliare nell’accogliere questi ragazzi. Ha così chiesto che le famiglie si rivolgessero all’indirizzo del Tribunale per proporsi come candidati affidatari. Eventualmente anche persone non sposate, perché tanto ciò che è importante è il legame. Giustissimo.
La giornalista ha chiesto alla signora Cavallo se forse queste famiglie non siano spaventate da relazioni che poi si interrompono, in quanto l’affidamento ha nella sua mission un tempo determinato. La Cavallo ha concluso dicendo che non debbono avere paura. Un legame è per sempre. E poi ha aggiunto una notarella sugli adolescenti. I quali a suo dire non cercano proprio una famiglia, ma un adulto di riferimento con cui confrontarsi. Quindi, largo all’affidamento e che siano famiglie o singoli cittadini, va bene così. Secondo l’eminente studiosa in casa famiglia ci si dovrebbe stare massimo un anno.
Non possiamo esimerci dal commentare questo servizio giornalistico. Ad attacchi alle strutture siamo abituati. Rientrano, a nostro avviso, in quell’ottica che è un misto di ignoranza e di sistematico smantellamento di diritti acquisiti. Di smantellamento della storia e di riforme eccellenti, che chiaramente costano in termini economici e di territorio. Su questo due parole. Le case famiglia, le comunità e la conseguente chiusura delle istituzioni totali sono figlie della riforma Basaglia. La sofferenza di soggetti che in un certo momento della loro vita si trovano ad essere svantaggiati si rivolge al territorio, con dispositivi di cura altamente specializzati che lo stato dovrebbe garantire. E quindi pagare. Ma le riforme costano.
Quindi si attaccano le comunità così come oggi va di moda smantellare i diritti dei lavoratori. Crediamo che il disegno sia comune. O quanto meno il senso profondo è il medesimo.
Quindi Cavallo, da che parte stai?
E comunque a dire il vero la nostra prima reazione non è stata negativa. Qualcosa del tipo, purché se ne parli! I minori ospiti in casa famiglia hanno bisogni dell’attenzione di tutti.
Siamo inoltre anche d’accordo con il fatto che tra una famiglia e un single non c’è tutta questa differenza nel prendersi cura. Questa modernità da noi in comunità è cosa di tutti i giorni. Le case famiglia sono gruppi di adulti che si prendono cura di bambini e ragazzi in difficoltà. Nel gruppo e tramite il gruppo crescono e si curano. Barbara Waterman nel suo “la nascita di una madre” descrive le relazioni di attaccamento a madri non biologiche. La psicoanalista, nella democratica California, ci fornisce uno spaccato per noi futuristico. La Cavallo è indietro di almeno un ventennio. Donne e uomini omosessuali, eterosessuali, divorziate e divorziati, risposati e non, crescono bambini e bambine con leggi a tutela della loro genitorialità. Sono come noi gruppi di adulti e ci sembra che la comunità in questo possa sposare una causa comune, suffragata da dati scientifici. Qui il percorso è scivoloso. Ma la genitorialità ormai si può dire che va ben oltre il sacro vincolo del matrimonio tra uomo e donna. La presidente Cavallo non credo intendesse questo, ma molto all’italiana ha dovuto screditare un dispositivo semplicemente pubblicizzando i buoni sentimenti dell’atro.
E quindi il legame.
Qui il discorso si fa veramente interessante per noi. Convegni degli ultimi anni, riviste scientifiche come ad esempio “Adolescenza e Psicoanalisi” hanno descritto il fenomeno per il quale le case famiglia sono piene di ragazzi provenienti da affidamenti falliti. Ma ciò non significa che l’affidamento vada cancellato dal novero delle cose possibili. Il punto è il legame, ma non nel senso del buonismo della Cavallo. I bambini che provengono da quelle che la giornalista ha definito famiglie disfunzionali, sono bambini che hanno vissuto un trama. Si sono ammalati nella psiche, in quanto è soprattutto perché il trauma lo hanno vissuto all’origine, in tenera età (vedi Cancrini, Biondo, “una ferita all’origine”, libro che ti spiega bene questo passaggio). Sofferenti nell’anima sono i legami appunto ad ammalarsi, perché è lì che sta la ferita.
Le case famiglia altro non sono che il luogo dove si curano i legami. E si curano, come Basaglia e gli psichiatri della sua generazione avevano capito, come lo stesso Freud ha scritto, con il gruppo. Ben venga l’affidamento allora, ma quelle persone vanno supportate. Altrimenti semplicemente non funziona.
Quello che ci chiediamo è come mai per questo genere di cura sia così restia l’opinione pubblica ad accettare i costi e i tempi. Una buona analisi dura anni. Un dottore da cui vai se hai una malattia non ha un tempo oltre il quale scade il suo intervento. Invece noi, che siamo il pronto soccorso di queste anime no. Un adolescente sofferente potrebbe sere un adulto antisociale di domani. Quanto costa un detenuto? Quanto risparmi con la prevenzione? Melita Cavallo… Perché questo non lo dici?
Ciò che manca all’intervento della Cavallo, per cui ciò che ha detto non ha rilievo, è la scientificità.
I suoi sono dati non supportati, punti di vista, opinioni. Ciò che stupisce è che a parlare così sia il presidente di un Tribunale.
Le comunità dal canto loro hanno poca o scarsa voce in capitolo. Ultimamente, questo vogliamo sottolinearlo, il vento sta cambiando. Gli studi sono in aumento così come le comunità che portano nei convegni i loro dati. La nostra casa famiglia l’ha fatto ultimamente con il convegno della Agippsa a Parma.
Ci scusi la Cavallo se siamo stati così impietosi con la sua bella intervista. Ma certe opinioni non siamo disposti a sentirle neanche al bar.
Da ultimo. Agli adolescenti non serve una famiglia, ma una figura di riferimento. Si e no. Alcuni giudici dello stesso Tribunale della Cavallo a volte affrontano le difficoltà degli adolescenti con una figura adulta di riferimento. Si chiama “compagno adulto” cara Melita Cavallo…. giovani psicologi lo fanno da trent’anni.