L’urlo – Munch.
Un cane che ti morde il cuore.
Supervisione 30.X.008
Abbiamo continuato a parlare di clinica. Ci siamo fermati su una situazione difficile con una ragazza che abbiamo definito al limite.
Abbiamo riportato alcuni episodi in cui questa ragazza si trova ad affrontare angosce profonde e le agisce con violenza sulle operatrici. In queste circostanze le incolpa di averle rovinato la vita e inizia un delirio fatto di borbottii e repentini agiti aggressivi.
T. ci ha dato un riferimento teorico in un libro di Masud Kahn, un analista eretico che ha scritto molto sulle condizioni limite. Il testo in questione é FIGURE DELLA PERVERSIONE. Khan ci dice che tutte le situazioni limite hanno la stessa caratteristica, i genitori. Questi genitori, dice Khan, trovando una formula descrittiva molto forte, amano nel figlio qualcosa che non è il figlio. Questa formula descrive un amore perverso. Non è che sono disinterassati del figlio, anzi, non direbbero mai che non c‘è nei suoi confronti un affetto. Affetto spesso anche molto forte. Ma non è il figlio l‘oggetto del loro amore.
Qualcosa che è nel figlio ma non è il figlio.
Bisogna capire però che sul concetto di perversione comunque si forma l‘umano. Nel senso che tutta l‘evoluzione, la maturazione del bambino, si fonda su una violenza. Gli si toglie un piacere (il latte) creandogli una frustrazione per orientarlo verso un altro piacere maggiore. Si perverte la sua strada di conforto diretto e di appagamento immediato. Gli si fa una violenza.
Ma, ancora, questa violenza crea un‘anima, una mente. La via naturale seguirebbe il principio di piacere fino ad esaurimento, fino alla morte. Perché dietro ogni desiderio appagato o si cela un altro desiderio, e allora è la ricerca ad avere un valore in sè, o si trova un significato ultimo e la vita si ferma. La vita mentale almeno…
Cerchiamo dunque qualcosa come esseri umani che non dobbiamo trovare e di piacere in piacere non dobbiamo trovare l‘oggetto. La perversione qui sta nel non trovarlo mai del tutto.
Questa perversione è la stessa, come dicevamo, che si ricollega allo sviluppo del bambino. Gli si toglie il latte per orientarlo a qualcosa che lo alimenti e che faccia elevare e complessizzare il suo gusto, poi da questo a qualcosa di sempre più complesso e astratto…
Il cammino è quello dell’astrazione. E quì è fondamentale capire come funziona la mente. Se ho l’oggetto non me lo possso rappresentare.
La perversione patologica è solo di maggiore intensita’.
La vita mentale nasce perché ci si sposta dal piacere.
Tornando a parlare della nostra situazione il punto è ché se un affetto è perverso ed io non ne ho altri, io comunque mi lego a quello. E quì la mente impazzisce per uma sorta di cortocircuito. Perché non può dirsi quello ché da sempre sa.
Amano in me qualcosa ché non sono io… Non mi permette di poter dire la verità e non mi lascia al tempo stesso libero da questa terribile verità.
Ché succede a questo punto. Questa mente si ritrova dei contenuti non legati. È molto facile ché a questo punto ci si proietti nella mente di chi ci sta intorno. Si usi come schermo di proiezione l’altro, ché si sente vivere dentro queste scissioni (ché spesso c’è da dire ché si agganciano con qualcosa ché è comunque in questo altro).
La differenza quì la fa il gruppo. Nel senso ché un gruppo capace di legame diviene fattore di cura. Un dispositivo dunque che cura.
Ci soffermiamo sull’importanza del gruppo.
T. ci suggerisce di iniziare a pensare in termine di gruppo. Ma nel senso che la mente funziona come un gruppo. Ci sono delle parti che si parlano, che fanno legami, il pensiero stesso è un legame. Parti che possono essere in conflitto tra loro, o messaggi che vengono falsati perché frutto di più voci nel gruppo. Noi funzioniamo come gruppo nel senso che è il funzionamento dell‘apparato psichico che può essere equiparato ad un gruppo. Quello di questa ragazza, di una condizione limite, è un gruppo che non lega. Un gruppo di anonimato o, possiamo anche dire, un gruppo primitivo. Che non riesce a creare legami, che non tollera le astrazioni e la complessità. Per cui esiste ciò che è giusto secondo lui in modo assoluto e ciò che non lo è. Punto.
Lo stesso gruppo che opera in casa famiglia, concependosi in quanto tale, deve arrivare a paragonarsi ad un apparato psichico che funziona in modo sufficientemente normale. E‘ una mente. Se io adolescente ritengo cattivo un operatore il poter vedere che quell‘operatore è comunque inserito in un gruppo che comunica mi porterà in un mondo differente. Un differente modo di poter pensare.
Se tu crei condizioni intorno ad una mente, questa così si cura. Non si cura mai in modo diretto!
Lo stesso singolo operatore si può concepire come gruppo. Ma questo discorso richiede una sensibilità analitica e un assetto interiore particolarmente impostati.
Viene chiesto se questo discorso della perversione, se amare in qualcuno qualcosa che non coincide con lui, può valere anche per ciò che un ragazzo vive con l‘operatore nei momenti difficili. Nel senso che nel delirio di cui parlavamo l‘operatore è e al tempo stesso non è qualcosa decisa dal ragazzo.
Si inizia a parlare del transfert.
Con un ragazzo al limite si accetta il transfert e poi si trasforma il vissuto.
Se però con un nevrotico il tranfert è più semplicemente gestibile, perché quest‘ultimo è in grado di accedere ad un livello di astrattezza e riesce a cogliere la metafora per cui una cosa è e non è se stessa, con uno psicotico questo si complica.
Qualcuno mi ha fatto male e questo qualcuno sei tu! Ma tu non mi hai fatto realmente male e dunque tramite te mi posso riappropriare di qualcosa che disturba il mio cuore.
Così in linea di massima direbbe un nevrotico.
Qualcuno mi ha fatto male e questo qualcuno sei tu!
Qui invece, senza poter scivolare nel metaforico, si ferma lo psicotico… e questo gli tormenta il cuore!
L‘operatore deve accettare questo transfert, deve accettare il gioco di essere quel qualcuno ( spesso ci sono motivi legati a se stessi sul perché proprio tu, sul perché è proprio in te che riverbera quel riflesso…), ma il ragazzo al limite non potrà accettarlo come “gioco“ come metafora, che sia tu e al tempo stesso no.
Quindi anche qui serve il gruppo, o se stesso concepito in modo gruppale, per far sì che questo tranfert funzioni.
In che senso però?
Nel senso che un‘altra persona potrebbe poi intervenire cercando di portare la sfumatura nel pensiero assoluto di quella condizione mentale al limite. Ad esempio iniziando a dire che sì è vero che tommaso è stronzo, ma poi oggi ti è stato vicino, ha pensato a te, etc.
L‘operatore si può concepire come gruppo… certo questo è più difficile. Serve molto allenamento e un costante riferimento alla teoria e al proprio assetto per raggiungere questo obiettivo. Però concepirsi come gruppo vuol dire avere quell‘assetto mentale, tanto da farlo ormai coincidere con la propria personalità. Vuol dire costantemente muoversi su una propria linea interiore per cogliere dove la propria mente gruppale incontra e si scontra senza legare con i propri contenuti scissi e più difficili. E chiaramente sentire che c‘è un gruppo dietro di te.
Allora capisci che quel momento di aggressività è quasi positivo, perché quell‘anima non muore mentalmente… è la sua ultima difesa. Vuol dire accoglier quel momento comprendendo quello che succede.
X dice che è colpa nostra che l‘abbiamo mandata in clinica psichiatrica (e noi manco la conoscevamo all‘ora!). Ma la clinica è distacco, è il dottore col camice, è la paura, il rifiuto e l‘isolamento. C‘è qualcosa in me che sta avvenendo in questo senso? Perché se non lo riconosco allora c‘è una parte di me comunque cieca, con cui non sto parlando.
E poi pure poter dire che quattro calci non glieli toglie nessuno la prossima volta!!!!(vedi l‘odio nel controtranfert di Winnicott.)
D‘altronde penso che se una famiglia funziona a fare interventi su un figlio non ci sarà mai tutta la famiglia riunita. Spesso un genitore è entrambi i genitori, l‘intera famiglia.
E così soprattutto agiamo per riattivare un pensiero. un pensiero che sia sempre relativo. La relatività (questa cosa è così, ma se la osservi è anche così e così…) aiuta molto nella comprensione. Il pensiero è una rappresentazione di scene. L‘assoluto in questo senso è sempre un fermo immagine, qualcosa che blocca la scena, mentre la mente deve poter continuare a creare rappresentazioni.
Il pensiero dunque si crea rappresentazioni di cose concrete,e dunque non vive di oggetti, nè di emozioni oggettificate. Quando stiamo male, questo dolore è compreso da noi. Passa per delle immagini, per la struttura del linguaggio, è una rappresentazione e per questo già fa meno male.
Diciamo che siamo angosciati, ma questo è del tutto tollerabile. La vera angoscia è un‘altra cosa. Qualcosa che neanche conosciamo, se non come ricordo primitivo.
I nostri ragazzi spesso soffrono, quando stanno molto male, non delle loro rappresentazioni, ma della cosa in sè, dell‘oggetto stesso. E la loro angoscia è terribile.
Un cane che ti morde il cuore al buio.
Il nostro lavoro è dare pensiero e con esso poter rappresentare.
(non sono riuscito a riportare gli stimoli della supervisione nella loro interezza e complessità. sono stati molti e i discorsi così interessanti che non sempre la penna era disponibile per gli appunti. ho tentato di legare i miei appunti tra loro per chiuderli in un unico discorso di senso compiuto. spero di non essere stato troppo confusionario. in più in alcuni punti, quando parlo dell‘esempio della clinica psichiatrica mi sono voluto dilungare in alcune mie riflessioni. spero facciate lo stesso, se volete, lasciando qualcosa di scritto, tracce del vostro pensiero, nei commenti a queste righe. Così da far diventare tutto questo il nostro pensiero.)