Riflessioni di fine anno
E anche il 2018 sta finendo.
E come è consuetudine la fine dell’anno porta con sé la necessità di un bilancio.
Il 2018 è stato il quindicesimo anno di attività nella nostra casa famiglia per adolescenti. Il ventesimo anno di “militanza” nel sociale. Ma su ciò torniamo alla fine.
Abbiamo continuato a lavorare come siamo soliti fare. Posizionare la casa famiglia nello spazio di mezzo tra sociale e terapeutico, o detto in termini che ci piacciono di più, conciliare in un unico intervento lo psichico e l’educativo, nella cura di ragazzi che soffrono, richiede tanto tempo. Se consideriamo la storia… questa idea ci venne in mente negli anni in cui lavoravamo con la giustizia minorile e allora la chiamavamo la comunità filtro.
L’urgenza rimane la stessa ma forse qualcosa si muove nel mondo delle case famiglia. Noi crediamo fortemente nel dato clinico. Lamentarci perché “non esistono più i ragazzi di una volta” è dannoso per noi oltre che ingenuo. Esiste la sofferenza e la cura della stessa. In tal senso i progetti sociali che si occupano di adolescenti hanno la responsabilità di essere pronti nel momento giusto.
Oggi più che mai la sfida è quella di collocarsi in un’area di mezzo tra le comunità terapeutiche e le case famiglia. Il dato che noi osserviamo, che condividiamo con gli amici del servizio sociale, è che l’età di ingresso in comunità si è molto abbassata. Parliamo oggi di pre adolescenti che presentano problematiche molto complesse.
Crediamo che tutte le case famiglia saranno chiamate (già lo sono) a collocarsi lì in mezzo.
Lavorando in tal senso cambia tutta l’impostazione della struttura. Noi personalmente abbiamo trovato nella teoria psicoanalitica una metodologia che ci aiuta ad aiutare, a comprendere profondamente quelle tre cose che per noi dal principio sono state fondamentali. Come funziona la mente dell’adolescente, come si ammala e come si cura.
L’anno che passa ci ha visto sempre impegnati su questo fronte.
In casa famiglia il gruppo di mezzo è cresciuto e ci ha dato belle soddisfazioni. Per noi è stato entusiasmante provare come attraverso un simile training nascano con naturalezza degli operatori. Questo punto è veramente importante. C’è un’esperienza fondamentale nell’origine, alla nascita di un operatore, che deve essere piacevole e di totale immersione. Ma su questo diremo meglio in seguito. Il ruolo dell’operatore rimane quanto di più difficile e centrale.
Sul piano della diffusione e condivisione della nostra esperienza e delle nostre idee abbiamo lavorato su un tema specifico. Quello dell’identità di genere. Abbiamo completato un lavoro per la rivista Adolescenza e Psicoanalisi che vedrà la stampa all’inizio dell’anno prossimo. Il tema è stato per noi importante avendo avuto l’onore di poter occuparci di transessualità in adolescenza. Appena sarà pubblicato posteremo il link dell’articolo.
Lesra e Rubin, di cui siamo soci, continua a formare gi vani che si appassionano alla causa e la Fenacopsi sta creando interessanti e utilissime convergenze tra strutture che si occupano di adolescenti e condividono un vertice teorico psicoanalitico.
C’è da dire che durante l’anno abbiamo anche dovuto fare i conti con un lavoro che complessivamente si è rallentato parecchio sul piano delle organizzazioni che raggruppano case famiglia. Non abbiamo spinto come siamo soliti fare e di questo ci dispiace. Andrà meglio il prossimo anno. La Regione Lazio comunque ha votato per un adeguamento delle rette nelle strutture e ciò ci rallegra molto. Si può fare ancora di più!
Ad esempio, seguendo il filo del ragionamento di cui sopra, sarebbe importante, anche a livello legislativo, che ci fosse un riconoscimento del lavoro che alcune strutture fanno al confine tra sociale e sanitario. Qualcosa del genere si muove pensando alle diverse situazioni in cui Municipi e Asl si trovano a fare una presa in carico integrata. Crediamo che adesso stia a noi dimostrare in che senso si svolga un lavoro terapeutico anche in casa famiglia.
Per quanto ci riguarda il 2018 ci conferma nell’idea di dover mantenere l’impianto di base di una struttura sociale, organizzata su un modello famigliare. Il bersaglio da non mancare sta nella formazione del gruppo di lavoro, nella supervisione e nella capacità che ne consegue di saper mettere mano alla sofferenza.
Forse una cosa che non è mai cambiata, dal 2003 ad oggi, è l’idea che la casa famiglia debba comunque rispondere ad un modello simile a quello di un ospedale, discostandosi da esso il più possibile. Ma come un ospedale accoglie persone che stanno male, ha dei protocolli e se ne esce con una sofferenza diminuita o guarita del tutto, così anche noi dobbiamo rispondere con altrettanta serietà. Altrimenti è tutto molto relativo e poco credibile.
Ci rendiamo conto che ciò può incontrare diverse resistenze. Ma le case famiglia di fatto sempre più ospitano ragazze e ragazzi che soffrono e sapere come affrontare tutto ciò è responsabilità nostra. I piani educativi individualizzati in tutto ciò diventano una bella ingenuità per molti di loro, semplicemente perché non sono accessibili. E noi non siamo agenzie per il collocamento.
Il 2018 si conferma per noi all’insegna di una formazione nella psicoanalisi di livello sempre più alto. Crediamo che avere operatori che, nella nostra struttura, possano applicare una formazione svolta nelle istituzioni psicoanalitiche più accreditate sia oltre che sinonimo di una garanzia di lavoro anche un gesto bello e di responsabilità nei confronti dei nostri assistiti. Loro debbono trovarci preparati e per loro solo il meglio.
Due cose per concludere.
Il giardino di Rosa Luxemburg ha preso letteralmente vita. Avevamo fatto l’esperienza dell’orto negli ultimi anni. Da cittadini ci siamo appassionati e divertiti moltissimo con i ragazzi. Allevare animali inizia ad essere un’esperienza veramente affascinante. In campagna quando ci si occupa dei campi e del lavoro con gli animali si dice che si va a “governare”. Tale è la misura di quanta responsabilità si dia a questa attività e all’onore che si fa a chi alleva.
L’anno prossimo sarà il nostro ventesimo anno di “militanza” dicevamo.
A noi piace condividerlo in due modi diversi. Stiamo lavorando ad un articolo da pubblicare su Marco Lombardo Radice. Chi lo ha conosciuto e ci conosce sa quanto tale riflessione ci riguardi da vicino e metta in questione le radici stesse della tradizione che seguiamo.
Da ultimo abbiamo in mente, in primavera, di festeggiare questi 20 anni in modo particolare. Stiamo scrivendo un testo (discorsivo questa volta e lunghetto…) nel quale vengono raccontati questi anni, le persone conosciute, la nostra storia,tutto ciò che è accaduto nel lavoro di aiuto e che ci ha portato ad essere come siamo. Lo condivideremo con le persone che abbiamo avuto sempre vicine e sapienti interlocutrici in questi 20 anni. Ci è sembrato necessario e bello in quanto sappiamo che il lavoro nel sociale difficilmente supera i pochi anni di attività e poter vantare venti anni di turni in casa famiglia per noi costituisce un paradigma che va con attenzione condiviso. È una strada che per chi vuole diventare un operatore.
Insomma è tutto.
Da parte nostra Buon Anno! Possiate passare dei momenti felici in compagnia dei Vostri affetti più cari.
Ma soprattutto… fate i buoni!