Nella stagione autunnale aumenteranno i turni in casa famiglia e sarà utile trovare un nuovo operatore. Questo ci suggerisce una riflessione.
Per trovare questo strano tipo di essere umano noi cerchiamo soprattutto di far girare la voce e di puntare su quelle persone che sono già legate alla cooperativa. Qualcuno insomma che sia un po’ cresciuto con noi.
La riflessione nasce però dal fatto che il lavoro in comunità è molto selettivo e per molti motivi. Come dovrebbe essere l’operatore tipo?
In un mondo normale questo tipo di lavoro, per la sua specificità e l’alto livello di difficoltà dovrebbe essere svolto da persone molto preparate e dalla formazione eccellente. Il lavoro è difficile come è difficile un pronto soccorso rispetto ad un reparto. Il tipo di sofferenza di cui si fa carico la casa famiglia non entra negli studi di psicoterapia. E questo la dice lunga. La questione è che in progetti sociali da sempre si investe poco. I soldi sono quelli che sono e dunque professionisti della cura vanno in altre direzioni, dove storicamente gira più denaro. Un mondo capovolto nel quale in contesti come le comunità dovrebbe arrivare personale molto specializzato. Essendoci poche risorse finiscono per approdare soprattutto neolaureati.
Ragazzi bravissimi e molto appassionati. È grazie a loro che, lo si dice raramente, il sociale va avanti.
Ma questo non è sufficiente. Spesso ci chiediamo come dovrebbe essere questo operatore (non me ne vogliano le compagne femministe… parlo al maschile in senso generico e per comodità…).
Mi ricordo che molti anni fa le fermate della metropolitana di Roma erano tappezzate da cartelloni pubblicitari di medici senza frontiere. Si cercava personale medico per i loro progetti. I manifesti dicevano che prima bisognava essere uomini, poi medici e poi tornare ad essere uomini.
La trovo una definizione estremamente puntuale e umana. Per un operatore vale lo stesso discorso. Un pronto soccorso in africa non è poi molto diverso dal nostro contesto. Situazioni critiche, si deve sapere operare in tutte le circostanze e con qualsiasi strumento a disposizione (il bisturi è un lusso da sala operatoria) e costante ricerca di sovvenzioni per far continuare ad esistere un avamposto di umanità.
Chiaramente però si crea uno stretto legame tra professione e umanità, tanto che per definire un operatore bisognerebbe anche riuscire a definire l’uomo.
Questione molto difficile.
Ed eccoci quindi come Diogene di Sinope, con in mano tanto di lanterna, in giro a cercare l’uomo, per questo pronto soccorso dell’anima che è la casa famiglia.